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In dialogo con Vincenzo La Via

Intervista del Prof. Biagio Muscherà al Prof. Salvatore Latora

Seduti uno di fronte all’altro, durante una pausa del Simposio Rosminiano al Collegio Rosmini di Stresa in una giornata soleggiata, il Prof. Biagio Muscherà intervista il Prof. Salvatore Latora, discepolo di Vincenzo La Via, durante gli anni del suo insegnamento a Catania. Lo scenario è perfetto! Non solo perché La Via è stato uno degli interpreti più significativi e originali del pensiero di Rosmini, ma anche perché la coltre di vapore che avvolge le isole borromee comincia a diradarsi e le parole custodite nel silenzio della memoria si fanno evocazione di un evento di pensiero che anche l’atmosfera lacustre sembra prepararsi ad accogliere. Parlare di un maestro, parlare del proprio maestro, è difficile, ‘impossibile’. La verità di un incontro si custodisce nel segreto dell’insondabile gratuità di un rapporto, ovvero nel segreto che prima o più ancora che essere il punto di partenza di un rapporto interpersonale fonda il suo costituirsi. Il segreto è il rapporto. E, dunque, qualsiasi racconto, o memoria, o ricostruzione di esso non potrà non confidarlo alle parole; ma confidare il segreto alle parole significa tramutare le parole in segreto, e la parola del segreto è il silenzio, inteso non come rinuncia alla parola o suo contrario, ma piuttosto come intima voce, come vocazione o destino. Il silenzio non è il semplice rovescio speculare che si contrappone al flusso di parole che rischia di disattivare la memoria che vorrebbe al contrario testimoniare; esso si traspone piuttosto in un legame originario che precede l’origine perché la istituisce consegnandola al regno della parola: il maestro è l’inassimilabile silenzio da cui scaturiscono memoria e testimonianza, ma è altresì il loro reciproco scarto, il luogo della loro irriducibilità. Così testimoniare del proprio maestro significa dire di sé: di ciò che il maestro ha generato nella propria umanità, nella propria avventura speculativa e umana, ma significa anche ‘dire’ altro da sé, testimoniare di un dono altro, che non può essere consegnato definitivamente alla parola, ma che rimane custodito nel silenzio. Cos’è la conoscenza? Cos’è la “vera” cultura? Qual è la funzione dell’insegnamento? Interrogativi che si intrecciano nel dialogo con il Prof. Salvatore Latora che, nel ricordare il suo maestro, Vincenzo La Via, non può che mettere in gioco se stesso, lasciandosi un’altra volta con-vocare dal suo insegnamento, nel tentativo di dire ciò che è indicibile, di tradurre l’intraducibile. L’intraducibile verità di ogni autentico sapere viene così affidata alla distanza: proprio nel silenzio ritroviamo la traccia di quell’indicibile asimmetria che caratterizza sempre il rapporto maestro-discepolo. Nella consapevolezza dell’impossibilità di ridurre la verità a tema o a discorso, nell’impossibilità di tramutarla in parole o racconto, nell’impossibilità di colmare la distanza tra la verità e le parole che tentano, o che hanno la tentazione, di esprimerla, si svela l’origine altra di quella verità che proprio il rapporto maestro-discepolo si sforza di afferrare.

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