Pochi altri indizi segnano la crisi attuale della nostra società così come la congiuntura dell’appello al “bene comune”. A livello retorico, e soprattutto politico, ciò segnala il bisogno di superare un certo modo di concepire la società e il ruolo che l’individuo svolge in essa. Si ritiene, infatti, che l’individualismo, affermatosi come “conseguenza” della “modernità”, rilevi ormai le sue contraddizioni e i suoi effetti perniciosi, e il “bene comune” sintetizzi tutto quello che rimane da recuperare una volta superato. In questa “promessa” sociale, si riassumono gli aspetti dell’ambiente e della famiglia, delle tradizioni e dei costumi, dei valori condivisi, dei beni culturali e di una nuova attenzione allo Stato e al sociale. Sono temi non facilmente conciliabili che si incontrano unicamente nel loro carattere comunitario, assumendo il più delle volte, però, un carattere “utopistico”. L’interrogativo che ne scaturisce allora è se una tale idea di “bene comune” sia ancora oggi “realistica”. Alla Dottrina sociale della Chiesa, il nuovo interesse del “bene comune” dà l’occasione non solo di interrogarsi su questo concetto che da sempre ha costituito il centro della sua riflessione, ma anche di contribuire alla riflessione etica nella politica e nella vita sociale. Per tale scopo, essa cerca il dialogo con le varie discipline sociali: metodo riproposto nella nostra conferenza serale, nella quale la Dottrina sociale della Chiesa pone a quattro discipline sociali – economia, comunicazione, sociologia, giurisprudenza – la domanda quanto “realistico” o “concreto” possa risultare il termine – finora molto “vago” – di “bene comune”.