Tra le fine del secolo XIX e l’inizio del XX, il modernismo cattolico cercò una conciliazione tra filosofia moderna e teologia cristiana creando divisioni tra le diverse correnti di pensiero accreditate in ambito ecclesiale. Esigenza dei sostenitori del modernismo era quello di rinnovare e interpretare la dottrina cristiana alla luce del pensiero moderno, i cui protagonisti erano Kant, Hegel e Freud. Al centro della discordia erano i principi della fede, i dogmi, la tradizione cristiana, il ruolo del papa e del magistero e la presenza della Chiesa. Da qui Alfred Loisy diede inizio ad un nuovo modo di pensare e di adeguare le scoperte scientifiche con i fondamenti della fede cristiana e in breve tempo il movimento si allargò in Germania e Inghilterra. In Italia furono Romolo Murri ed Ernesto Buonaiuti a prendere in mano le redini moderniste. Lo stesso Fogazzaro nel romanzo “Il santo” del 1905 prese posizione e il libro finì all’Indice, tra i testi proibiti. La chiesa impose il giuramento antimodernista ai laureandi nelle università e molti preti e persino vescovi furono accusati di modernismo e perseguitati. L’allora cardinale di Milano, Andrea Carlo Ferrari per cinque anni non fu ricevuto dal papa; dopo la morte arrivò però la sua beatificazione. Alla fine tutti i fautori di questo movimento hanno ottenuto la riabilitazione: perché le loro idee e il loro modo di unire modernità e dottrina cristiana era un germe di novità che anticipava i preziosi contenuti del concilio Vaticano II. A distanza di un secolo la crisi modernista resta una questione ancora aperta, non solo dal punto di vista interpretativo e storiografico, ma anche nella sua rielaborazione sul piano di una intelligenza credente.
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