Isolando alcuni asserti dei sostenitori del paradigma biopolitico, si vuole istruirne la discussione ed elucidarne le intenzioni di delegittimazione radicale della cultura e dell’esperienza cristiana quali si sono attuate nella storia concreta. Si perimetrano le istanze – non poche né marginali – di natura teologica in cui la nozione di biopolitica affonda le sue radici pur senza dichiararlo. Le asserzioni e i rilievi ermeneutici provengono da Homo sacer di Giorgio Agamben, che ha inaugurato il paradigma biopolitico, e dal più recente Due di Roberto Esposito, che srotola gli spunti del primo in una ricapitolazione della teologia politica e del condizionamento decisivo ch’essa ha imposto alla storia occidentale. Tanto l’exceptio come esclusione che include, teorizzata da Agamben, quanto l’unità attraverso il due, matrice del «dispositivo teologico-politico» secondo Esposito, imputano la violenza della Storia e l’irrisolta tensione tra secolarismo e teocrazia all’analogia, secondo loro insostenibile, tra il Dio sovrano personale e la sua altrettanto personale rappresentanza terrena. La vocazione alla trascendenza della politica è isolata da Agamben come il virus originario che troverebbe il suo coerente culmine nei campi di sterminio; per Esposito invece giace stregata sotto l’incantesimo del dispositivo – nome mutuato da Heidegger e Foucault – messo in moto dalla nozione di persona, che dal diritto romano e dalla speculazione trinitaria si gonfierebbe, artificiosa sin dal principio, fino alla violenza ubiquitaria degli attuali poteri mondiali.