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Con questo intervento si vuole provare a far emergere alcune assunzioni implicite che sottenderebbero le prove ontologiche di Leibniz e Gödel. Sebbene sia ormai usuale riferirsi alla prova di Gödel come a una variante modale della prova di Leibniz, si vuole sostenere che l’accettazione dell’una non implica necessariamente l’accettazione dell’altra. In primis, perciò che concerne la prova di Leibniz, si desidera mostrare come sia possibile sfuggire alla nota obiezione di Kant, secondo cui l’esistenza non denoterebbe una proprietà reale. Per farlo, si confronteranno due scritti giovanili di Leibniz – Quod Ens Perfectissimum Existit (1676) e la \Lettera a H. Huthmann” (1678) – con alcune considerazioni sull’algebra dei quanti catori. Le considerazioni sulla prova di Gödel, invece, riguarderanno principalmente la nozione fondamentale di proprietà positiva. Si vuole così sostenere che, almeno sotto una specifica interpretazione semantica della positività, la prova risulta circolare in quanto introduce due assiomi tanto indispensabili quanto coincidenti con ciò che essa spera di dimostrare. Come apparirà chiaro, la radice del problema risiede nel fatto che la nozione di proprietà positiva e introdotta per via puramente assiomatica, senza che il minimo criterio extralogico, ancorché informale, venga esplicitato.