L’argomento ontologico nella speculazione metafisica di John Caird
VIDEOCONVEGNO: “New Perspectives on the Ontological Argument” (Relazione del Prof. Samuele Francesco Tadini)
Il contesto storico-teoretico in cui si svolge la riflessione di John Caird, predicatore di grande successo, prima ancora che filosofo, teologo e poi Rettore dell’Università di Glasgow ininterrottamente dal 1873 al 1898, è quello dell’idealismo anglosassone, incentrato su una riflessione puntuale concernente la filosofia della religione, intesa come necessaria prospettiva d’indagine nel contesto più ampio di una religiosità che deve attuarsi pienamente anche nella pratica, e sorretto da una tradizione, quella della filosofia scozzese, la quale, dopo Hume e gli sviluppi riduzionistici tendenti alla riaffermazione di un pericoloso materialismo, ha riscoperto con Thomas Reid e molti altri pensatori uno “spiritualismo” la cui portata meriterebbe di essere conosciuta a fondo. La teologia filosofica scozzese sviluppatasi nella modernità, e in modo particolare quella del XIX secolo, nella quale John Caird occupa un ruolo di rilievo – sebbene nel fondamentale volume di Alexander Broadie e nella Encyclopedia of Philosophy sia semplicemente citato –, ha un fortissimo interesse per le questioni ultimative legate al rapporto fra religione e speculazione filosofica. La posizione di John Caird, in modo particolare, così come risulta ricavabile dai suoi scritti ed in particolar modo da quello forse più rappresentativo di questa concezione, vale a dire An Introduction to the Philosophy of Religion, considera il rapporto fra finito e infinito dalla prospettiva del contrasto sussistente fra la coscienza del limite, propria del soggetto finito, dunque limitato, e la coscienza di ciò che trascende il limite, vale a dire l’Assoluto. Ma la conoscenza dell’Assoluto non è possibile se non a cominciare dalla coscienza stessa, la quale si palesa come processo di mediazione a partire dall’Assoluto stesso. Tale processo, come si evidenzierà in parte anche dall’argomento che verrà preso in esame, è interno a alla natura di Dio; per tal ragione, secondo Caird, risulta possibile concepire l’Assoluta realtà solo come internamente in relazione con il finito. Da qui ne fa derivare la necessità di concepire la religione come vita della coscienza razionale assoluta, ma una religione intesa in questo modo non è altro che una filosofia, nella quale il tentativo di aprirsi alla realtà assoluta renderebbe ragione del fatto che tale realtà corrisponda ad un concetto in cui le contraddizioni esperite nel finito si armonizzino in una unità superiore. Caird, ponendosi su di una linea che risente fortemente del sostrato platonico, propone una differenza fra un pensiero incapace di afferrare l’unità degli opposti, e un pensiero speculativo, nel quale l’opposizione e l’antitesi fra spirito e natura vengono dialetticamente superate, ma la linea platonica iniziale non viene seguita sino in fondo; tant’è che l’impostazione teoretica hegeliana ha qui il sopravvento. Non risulta difficile, infatti, comprendere come l’immanenza dell’infinito nel finito tenda ad escludere una chiara riaffermazione della trascendenza di Dio, perché, in ultima istanza, Dio risulterebbe incompleto, cioè imperfetto, se non avesse in se stesso la relazione con il finito. È dunque alla luce di questa impostazione che trova conferma l’argomentazione ontologica riproposta dal pensatore scozzese in una chiave che, come si avrà modo di osservare, risulta pure apologetica nei confronti della religione e della sua stessa necessità.