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Il trascendentale “verum” nella semplificazione offerta dalla manualistica neoscolastica è stato declinato con il ricorso alla tradizionale formula della verità come “adaequatio rei et intellectus”; l’adaequatio è stata trascritta come “conformitas” o “conformabilitas” e riferita al piano veritativo nell’orizzonte dell’intelletto conoscente che riproduce intenzionalmente la realtà oggettiva, e questo costituirebbe lo snodo centrale della concezione della verità proposta da Tommaso d’Aquino. Si insiste nel precisare che Tommaso ha dato valenza ontologica alla posizione di Aristotele, il quale assegnava una precedenza logica alla verità nell’intelletto, che con la capacità componente e dividente può stabilire nell’atto del giudicare la conformità della cosa conosciuta con la cosa esistente nella realtà. La questione risulta in realtà più complessa, non appena si prendano in esame i testi in cui Tommaso tratta della verità, ed in particolare i primi due articoli della quaestio 16 della prima parte della Summa theologica, e gli articoli che compongono la quaestio 1 delle Questioni disputate De veritate, dove Tommaso intende individuare i principali nuclei teoretici della verità, con un’attenzione precipuamente gnoseologico-metafisica, ossia non orientata direttamente sul versante teologico in senso stretto. Al primo interrogativo: Quid est veritas?, Tommaso risponde che per definire la verità dobbiamo tenere conto del riferimento all’ente; i tre termini (adaequatio, intellectus, res) presenti nella definizione formale della verità come adaequatio intellectus et rei vanno sottoposti ad analisi metafisica, inclusiva cioè di noetico e di ontico, perché si possa avvistare la caratteristica complessiva della verità.