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Antonio Rosmini: verità, ragione, fede

XVII Convegno Sacrense - Abbazia Sacra di San Michele (To) 19-20 settembre 2008 Videoregistrazione completa

Affrontare il pensiero metafisico di Antonio Rosmini è stato l’intento del XVII Convegno Sacrense. Al centro l’ontologia con un primo sguardo alla sintesi tra “contemplazione” e “speculazione”, ossia tra momento intuitivo e momento dialettico nella questione fondativa. Il concetto di forma della verità si incardina, all’interno del sistema speculativo di Rosmini, nel rapporto tra la dimensione oggettivante del pensiero e la dimensione qualificante dell’esistenza cristiana, rosminianamente racchiudibile nei termini della carità triniforme. Proprio la relazione tra le tre forme dell’essere, ideale, reale e morale, apre ad una visione concreta dell’essere stesso, come dialettica, comunicazione e relazionalità. Il punto focale del ragionamento rosminiano, nelle varie formulazioni che mostra l’argomento ontologico a priori, è rappresentato dall’idea di essere, che per Rosmini è intuita dall’uomo e non necessita di altro per essere riconosciuta, poiché essa è il principio primo di tutte le conoscenze. Da qui un percorso preciso dall’intelligenza all’amore, in cui l’uomo è “un vitale sentimento che si porta verso l’essere”. Il rapporto fra politica e cristianesimo non è sbagliato né illegittimo: per Rosmini solamente la ragione aperta alla fede è una ragione piena o compiuta, e solamente la filosofia aperta alle verità cristiane può rimanere sana e vera. Anche  il problema del peccato originale richiede, insieme alla Trinità e all’Incarnazione, le riflessioni più intense. L’Enciclica “Fides et ratio” stimola i filosofi e i teologi ad esplorare la razionalità di questo mistero, le cui ripercussioni nella storia umana e nella scienza filosofica sono tutt’altro che spregevoli. L’ampiezza e la profondità delle riflessioni di Rosmini sul peccato originale le fanno uno dei frutti più maturi dell’”intellectus fidei” di tutti i tempi. Inoltre, dimostrano che la filosofia cristiana non può prescindere dalla considerazione dello “status naturae lapsae”.

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